Venerdì a Milano c’è Sharitaly, il primo evento italiano dedicato alla sharing economy. Il tema è affascinante, è un sottile filo che sta contaminando diversi settori dell’economia e anche in Italia sta guadagnando attenzione.
Una delle motivazioni per cui se ne parla così tanto è legata principalmente alla rapida e virale diffusione di piattaforme che ne sposano i principi: Bla Bla Car, Uber, Bookcrossing e molti altri siti. Crescono sempre più comunità virtuali come eBay o Swaptree, in cui la gente scambia e vende di tutto.
A sua volta la capillare diffusione di queste piattaforme è stata resa possibile dal meccanismo nel quale i social ci hanno prepotentemente assorbito: la condivisione. Condividiamo continuamente foto, stati d’animo, opinioni. Il modo di vivere i social ci ha educati in un certo senso a pensare che da tutta questa condivisione potesse scaturire qualcosa di socialmente utile.
Che cos’è la sharing economy?
Per economia della condivisione si intende, in senso ampio, tutte le forme e modalità di utilizzo comune di una risorsa. Questa filosofia, collegata al verbo share, condividere, nasce da una rivoluzione dal basso sviluppatasi con i millennium. Vale la pena citare, oltre quella tradizionale, forme come il crowdfunding e il crowdsourcing. Forme per le quali il principio base è proprio quello di condividere il patrimonio intellettuale in un caso, e le disponibilità economiche nell’altro.
In ogni caso, la finalità è quella di creare un approccio nuovo di business, coinvolgere attivamente il cliente fino a renderlo non solo attore della scena, ma in molti casi protagonista. Il ruolo del cliente e il suo rapporto con l’azienda rappresenta l’elemento chiave di questo paradigma: i clienti sentono l’esigenza di comunicare con le aziende in maniera più diretta possibile, senza sentirsi messi su un piano diverso.
Vediamo qualche esempio:
- Barilla ha sponsorizzato eventi Gnammo. Gnammo è una piattaforma che organizza eventi di social eating, offrendo a tutti la possibilità di organizzare pranzi, cene ed eventi a casa propria o in qualsiasi location, mettere alla prova la propria bravura ai fornelli e conoscere nuovi amici.
- Fubles, una piattaforma di social sport sharing, ha tra gli sponsor Adidas e Chronotech.
Senza fare grandi nomi, possiamo pensare alla pratica che ormai si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il territorio, relativa al coworking: la condivisione di spazi adibiti a uffici, studi medici, sale eventi e molto altro.
La sharing economy e la rete
La Rete è la protagonista di questa nuova economia, strumento senza il quale non avrebbe potuto svilupparsi. Il web è l’unico posto in cui gli utenti possono scambiarsi oggetti e idee smettendo di essere passivi e diventando al tempo stesso produttori.
Grazie alla Rete la condivisione sta soppiantando la cultura del possesso attraverso filesharing, carsharing, swapping.
Si tratta di una vera rivoluzione sociale, la prima che dal dopoguerra ridisegna i comportamenti economici e sociali occidentali,
a sostenerlo è l’economista Loretta Napoleoni nell’articolo “L’economia del mutuo soccorso”, su Wired Italia.
Nel concreto:
- alla proprietà si sostituisce l’accesso a un bene: la bicicletta non la compro, la prendo in bike sharing, quando effettivamente mi serve;
- dall’esperienza solitaria si passa all’esperienza condivisa: il viaggio in auto verso il concerto lo faccio con il car pooling, in macchina con altre persone che fanno lo stesso tragitto;
- comprando oggetti usati o prestati si allunga la loro vita sfruttandoli al meglio: vale per il trapano che userei tre volte nell’arco di un anno; o per un cappotto firmato, usato ma praticamente nuovo;
- e la casa per le vacanze in Bretagna non la affitto da un’agenzia, la scambio con una persona del luogo che nello stesso periodo verrà a passare le sue vacanze a casa mia.
Dalla condivisione al business
La sharing economy porta molte zone d’ombra e minacce per le aziende tradizionali, certo. La condivisione è percepita come un potenziale ostacolo alla vendita di beni e servizi, le piattaforme che offrono l’incontro tra domanda e offerta sono viste come competitor per le aziende. Per esempio, porta a trovarsi nuovi concorrenti – pensiamo ai taxisti e a Uber – o veder calare le prenotazioni perché le persone dormono a casa di altre persone con Airbnb, invece che in hotel. In alcuni casi porta a competere in uno scenario non chiaro dal punto di vista fiscale o di leggi a tutela del lavoro.
Ma quali sono le opportunità? Sono molte, in evoluzione, aperte a chi sa muoversi prima degli altri. Farsi attivatori di collaborazione tra i clienti, per esempio. Pensiamo allo scambio di prodotti usati, di una certa marca. Perché non mettere a disposizione una piattaforma brandizzata in cui agevolare questo scambio? Posto che lo scambio ci sarebbe comunque, in altri luoghi della rete.
Il primo passo che le aziende devono fare per crearsi un’opportunità con queste forme di condivisione, è quello di uscire dalla tradizionale mentalità che vede la sharing economy come un limite allo sviluppo del proprio business, piuttosto che un’opportunità di slancio. Comprendere questi modelli, invece, significa soprattutto analizzare quali sono i bisogni dei clienti, come stanno cambiando le abitudini e le necessità, significa adeguarsi al cambiamento facendo della contingenza un’opportunità.
Perché proprio ora?
- perché risparmiare è un diktat imposto dalla crisi economica
- perché trovare soluzioni smart (riciclare, per esempio) è socialmente positivo
- perché condividere è socialmente positivo
- perché sempre di più cerchiamo e costruiamo esperienze ricche di senso, piuttosto che consumare, semplicemente
- perché abbiamo il mobile e i social network che amplificano la rete di persone e i momenti con cui siamo connessi e possiamo fare sharing
- perché andiamo concentrandoci in zone urbane e questo aumenta la probabilità che a poca distanza ci sia qualcuno con cui scambiare un oggetto, condividere un viaggio in macchina, scambiare qualche ora di lavoro per la manutenzione del giardino per una ricompensa economica.
- perché soddisfare un bisogno esistente e concreto non è forse il massimo a cui possa aspirare un’azienda?
Sharing economy: una precisazione
L’economia partecipativa comunque, è a scopo di lucro! Uber lo scorso anno ha fatturato quasi 2 miliardi di dollari di profitti, il carsharing permette di abbattere i costi di assicurazione e manutenzione dell’auto, prestare parte dell’orto al vicino col pollice verde ma senza giardino abbellisce la casa e fa risparmiare sul giardiniere.
Le oligarchie industriali vorrebbero farci credere che questo comportamento distruggerebbe l’intero sistema economico. Ma non è così!
sottolinea Loretta Napoleoni. Per questo è necessario iniziare ad allocare le risorse in modo più efficiente: lasciare Microsoft per Linux, noleggiare un iPad solo per i giorni in cui lo si utilizza, scambiarsi i vestiti per bambini: il servizio è uguale ma si evita di creare un’insostenibile accumulazione di capitale.
Ovviamente, non mancano i movimenti contrari alla sharing economy. Perché non è sicura, rompe le regole, si infila in spazi in cui le regole non ci sono ancora. Possiamo tornare indietro? No, possiamo migliorare andando in avanti. Siamo solo all’inizio ma una cosa è certa: i fattori che hanno portato all’emergere della sharing economy rimarranno con noi per qualche anno.
E la sharing economy, anche.
5 Comments
Buongiorno Gianluca,
la sharing economy ha indubbiamente dei vantaggi, ed è positiva soprattuto quando porta un aumento della produttività o una riduzione di quelle attività che vengono chiamate “rent seeking activities”, ossia attività che non portano valore aggiunto ma distruggono PIL, la corruzione ed alcuni tipi di intermediazione sono gli esempi più comuni. Resta il fatto che le regole vadano rispettate, tutte, non solo quelle che più ci piacciono, per il bene di tutta la comunità.
Nel mondo reale ci sono sicuramente rent seeking activities da limitare, ma ci sono alcune regole che sono state create a protezione del cittadino e tali devono restare. Immagina se nel nome della sharing economy le siringhe in ospedale venissero riutilizzate, sarebbe un bel risparmio in termini di aghi, eppure non sarebbe una buona idea.
Questo solo per far riflettere sul fatto che non si può legalizzare tutto ciò che è “sharing economy” solo perché “sharing” è una parola sexy. Tutto deve essere valutato con calma e attenzione.
Per quanto riguarda ezTaxi, questa app offre ai clienti dei taxi la possibilità di svincolarsi dai radio-taxi, di cercare un taxi in 9 città d’Italia e di pagarlo direttamente sull’app. Che migliorie suggeriresti per questo servizio?
Grazie dell’attenzione
Saluti
Tommaso Lazzari
Amministratore di ezTaxi.
Gentile Tommaso, la comprensione della sharing economy è fondamentale. Ah l’ho già detto, vero. Sì perché comprendere la sharing economy è anche non pensare che sia sexy o che vada sempre male. Le siringhe non è bene condividerle ma che c’entrano con la sharing economy? Condividere magari i medicinali invece di farli andare a male perché mi tocca comprare una scatola da 24 pastiglie e ne uso si e no 9 in tutta la vita sarebbe invece più utile (primo esempio stupido che mi è venuto).
Io capisco che Uber dia fastidio ma proprio e solo e sempre lo sciopero esiste? Non esistono altre forme con cui ragionare?
A ezTaxi rispettando le attuali regole, che mi pare di comprendere siano tutte e solo a tutela del cittadino secondo te, non posso suggerire alcuna miglioria anche perché non mi pare sia il luogo, immagino lo chiederanno i vostri autisti ai loro utenti e voi direttamente. Poi la prossima volta che alle 9 del mattino non trovo un Taxi a Monselice, Mogliano, Jesolo o altro…me le spiegate!
Gianluca,
Mi sembra un’ottima idea quella di condividere i medicinali prima che scadano, e non credo che nessuno ti impedisca di farlo, a meno che siano medicinali che abbiano bisogno di prescrizioni, perchè, come con le siringhe, non sarebbe una buona idea.
Ciononostante, hai colto un ottimo punto, ci sono tante cose più importanti da condividere, prima dei passaggi a Milano. Perché il ride-sharing di cui parliamo ha un’utenza potenziale di circa 3,000 persone in tutta Italia a cui porterebbe un vantaggio tutto sommato marginale. Se non fosse per tutto il baccano inutile che si sta facendo (soprattutto per colpa dei tassisti), alla gente non importerebbe poi così tanto…Ed in più è vietato per legge.
Vorrei però chiarire perché i tassisti sono insorti contro il ride sharing di Uber e non contro quello di BlablaCar.
Se vai da Milano a Torino con BlablaCar paghi 7 Euro, se vai da Milano a Torino con Uber (pop) ne paghi circa 70. Questo fa sì che, con BlablaCar, io non vada da Torino a Milano se non perché ci stia già andando per conto mio. Ciò significa che BlablaCar riduce il numero di auto circolanti ed Uber no, perché incentiva chi ha l’app ad uscire in macchina e ad accenderla. Ovviamente ai tassisti non importa che ci siano più o meno auto in circolazione, vogliono solo ridurre il numero di autisti, ma è per dire che, forse, neanche per la comunità è un gran vantaggio.
In conclusione, le regole sono state pensate per tutelare il cittadino, se sono obsolete, aggiorniamole, ezTaxi è la prima ad esserne felice. C’è chi dice che anche la Marijuana andrebbe legalizzata, ma per il momento è illegale, e comprarla con un’app non la rende meno illegale.
Comunque, ti invito a scaricare l’app di ezTaxi ed inserire il codice sconto “ezGo” , forse non troverai un taxi a Jesolo, ma stiamo facendo il massimo per fartelo trovare anche lì.
A presto
Tommaso
Quando uno aspetta decine di minuti un taxi la sera a Milano e in più lo paga “caro” significa che le regole sono da aggiornare. Uber e UberPop ancora di più nascono (la prima non la farei rientrare nella sharing economy, la seconda già di più) laddove finiscono gli altri: leggi o non leggi. Questi modelli/app vanno a soddisfare un bisogno di mercato che se ne stava lì. Io non comprendo perché i tassisti, che da anni combattono la battaglia delle licenze a suon di scioperi, non capiscono che se continuano così nasceranno 1, 100, 1000 Uber e non serve chiedere regole più rigide ma semplicemente bisogna adattare quelle che vi sono e questo potrebbero farlo loro per primi vista la posizione di forza che hanno. L’ottica non deve essere quella di dire NO e scioperare ma quella di comprendere il mercato e aprirsi alla domanda e magari anche alla sharing economy (dove e come si ritiene opportuno)
Tu, giustamente concludi con l’invito a riscrivere le regole, si si può ma non capisco come si possa fare se chi dovrebbe essere a farlo alza barricate. Forse non si rendono conto che il semplice fare sciopero è già un privilegio. I grafici e i webdesigner professionisti non scioperano perché studenti e dopolavoristi fanno il loro lavoro a meno e magari si offrono su Elance o altro. Anzi sono costretti a ragionare su come differenziarsi e migliorare il servizio.
In bocca al lupo con EzTaxi per i suoi piani attuali e gli sviluppi futuri sperando possiate essere anche voi da stimolo a nuove leggi meno medievali.
PS
Blablacar non da fastidio perché è un target diverso. Chi usa le auto con autista nel 90% dei casi non usa Blablacar e viceversa.
La comprensione della sharing economy è fondamentale. E’ un fenomeno sociale legato ad alcune nuove filosofie di vita meno orientate al consumismo e tecnologico. Siamo pronti ad affrontarla? Non credo, quello che sta succedendo con Uber ci mostra come la sharing economy non sia da combattere a colpi di licenze e regole ma da comprendere e integrare nel proprio business. Uber, infatti, nasce laddove RadioTaxi e EzTaxi finisce o, forse si auto limitano, …