
Nel precedente post sui social network abbiamo visto come a cambiare sono i consumatori, il mercato, le aziende, lo scenario, la comunicazione ecc.. Quattro o cinque anni fa queste soluzioni hanno rappresentato il futuro. Servono nuovi approcci, nuove idee, per identificare nuove soluzioni. Come ogni prodotto, servizio o brand ha il suo ciclo di vita. Anche i social media sembrano non essere immuni dal ticchettio del tempo e si iniziano a vedere i primi sintomi della fase di maturità. Come Il web poggia le sue origini e forse gran parte dei suoi successi sulla coda lunga. Sulle infinite nicchie di mercato. Emergere dalla coda oggi significa farsi trovare e saper coltivare bene la propria nicchia. E come i social media devono essere riconsiderati per quello che sono sempre stati: strumenti. Bisogna andare oltre e ripensare tutto da zero, attivando nuovamente il pensiero strategico.
Continuiamo la discussione con i prossimi episodi.
Episodio 3 (continua): e le nostre piccole imprese in tutto questo?
“Quindi lei mi sta dicendo che adesso c’è talmente tanto casino…”.
“Rumore di fondo”.
“Va bene, rumore di fondo; che non sono più strumenti potenti, efficaci?”
“Potenti ed efficaci dipende”.
Non basta più insomma essere sé stessi e raccontarsi differenziandosi dalla concorrenza. Anche lo storytelling ha già cessato di essere LA via per distinguersi. Come tutti gli strumenti abusati ha finito per esaurire la sua carica emotiva di “moda” del momento, almeno nella versione che conosciamo. Non basta più l’originalità delle nostre campagne di comunicazione e un buon business model rivisto sulle attività di famiglia. Non basta più appropriarsi di valori, anche molto intimi, per costruire un’identità di marca. Per ottenere l’attenzione dei nostri clienti sui social media bisogna andare oltre e ripensare tutto da zero. Si può anche provare la carta dell’unconventional per spararsi una cartuccia di creatività che ci dia le luci della ribalta per un periodo sufficiente ad evitare di tornare ai mezzi tradizionali e costosi dell’offline, ma si tratta di azioni one-shot.
Se prima la “bacchetta magica” poteva essere rappresentata dall’ingegnosità nel proporre contenuti che sorprendessero gli utenti generando viralità ed eventualmente fidelizzazione, oggi è necessario oliare tutti i meccanismi con (almeno) una punta di “content advertising” che aiuti ad emergere dalla massa (a livello di reach) e rafforzi le possibilità di engagement e quindi di considerazione dei propri contenuti presenti e futuri da parte dell’algoritmo stesso.
La crescita è ormai logaritmica, non più esponenziale.
Ieri era più facile. Prima bastava esserci. Poi bastava essere bravi e diversi. Oggi non basta più. Bisogna necessariamente e costantemente uscire dagli schemi. Pensare diverso. Agire diverso. Andare contro, a volte non essere political correct, per avere risultati.
Ma tutto questo assomiglia sempre di più a quanto accade nell’offline. Si torna a ragionare in modo generalista. Serve lo scoop! I Social come i Mass Media non tanto in qualità di strumento – dove la bidirezionalità è ancora possibile – quanto in termini di scarsità d’attenzione da parte dell’audience. Anche se concettualmente diverso, l’effetto è lo stesso. Tutto sembra ricondurre alle vecchie PR quando contava più la quantità delle relazioni della loro qualità. Quanti amici porti (diceva il gestore della discoteca)? Una forma di celolunghismo che spesso sentiamo essere l’unico metro di misura di un profilo social anche a prezzo di comprarsi i follower…
Il numero di follower di un social network, è solo una delle metriche che mostrano un ingaggio significativo e ben poco ci dicono dell’efficacia e di quanto quel profilo stia funzionando o meno nella creazione di un vero coinvolgimento nei confronti degli utenti. Il numero dei follower resta simile allo share televisivo, alla tiratura di un giornale: una modalità di ragionare ancora vecchio stile ancora con logiche classiche di pubblicità one to many. Stefano Besana
Appare oggi in tutta evidenza il salto logico che è stato fatto, attribuendo connotati di valore ad uno strumento che di per sé è neutro rispetto alle scale di valore. Anzi, proprio l’auspicata diffusione del mezzo ha fatto si che questo perdesse la sua iniziale diversità! La conferma delle mie impressioni arriva direttamente dalla tv che Facebook e Google – addirittura due volte – hanno utilizzato per promuoversi per la prima volta nella storia.
Episodio 4: non è quello che avevamo immaginato all'inizio…
L’uomo con il cappotto incrocia le braccia: “Lo sapevo è finita la festa, lo dicevo io che era tutto finto …”
“Non dica così” risponde quello con la valigetta, “anch’io per un momento l’ho pensato. Ho pensato che …”
Non è certo questa la Social Media Revolution che tanti avevano immaginato. Si sperava di non dover di nuovo fare i conti con la disuguaglianza dei budget e la diversità delle opportunità. C’era il sogno di un luogo più democratico! I piccoli credevano di avere spazio per il loro merito e invece si trovano ne più e ne meno a dover affrontare le stesse difficoltà di quando dovevano comunicare con la stampa e i mass media tradizionali. È tornata ad essere dura per loro…
Dopo aver vissuto l’era del marketing operativo e delle raccolte punti degli anni 90. La nascita e la morte delle dot.com. Il marketing relazionale e le prime forme di community building (embrioni dei social network di oggi). Le trasformazioni e mutazioni del marketing relazionale e di quello esperienziale. L’esplosione del guerriglia e dell’unconventional. L’ossessivo e fondato richiamo all’ascolto, al dialogo, al prosumer, alla co-creazione come naturali evoluzioni della customer centricity; della reputazione. Il richiamo alla transmedialità come approccio alla conversazione.
Oggi mi sento di affermare che i sintomi sono quelli di un mercato saturo e fuori strada, curvo su sé stesso dal peso delle aspettative, delle scelte sbagliate e delle persone che son salite sopra al carro, pronto per un salto evolutivo che sarà prettamente incentrato su un modello di business orientato all’advertising e alla raccolta di dati e informazioni sui comportamenti degli utenti.
Che sia arrivato il momento di lasciare il proprio testamento virtuale?
Non lo nego, personalmente la tentazione c’è. Ma per ora direi di no. I social network sono morti, come li avevamo conosciuti all’inizio, per le aziende, ma per le persone sono ancora un luogo di ricreazione. Dal punto di vista dell’approccio al business (ma anche un po’ da quello personale) credo che la mia mentalità sarà destinata ad evolversi ulteriormente. Abbiamo bisogno di tornare alle persone, vero fatto di relazioni umane, concrete e di condivisione di valori reali. Non basta dire sono originale, sono interessante, devo veramente ESSERLO! Integriamo senza troppo accanimento la nostra vita con i social media. Un’estensione della nostra identità e delle nostre relazioni e non “LA nostra identità e LE nostre relazioni”. Un luogo dove continuare a parlare… una realtà aumentata e non inventata!
Torniamo a noi stessi. Alla strategia delle nostre aziende e all’innovazione dei nostri business model evitando di partire come troppo spesso accade quando si parla di start up, solo ed esclusivamente dalla tecnologia.
Episodio 5: social network …e quindi? Gli scenari possibili?
L’uomo con il cappotto alza lo sguardo da terra e guarda il suo interlocutore in faccia. Si guardarono negli occhi.
“Eh si forse ha ragione lei … ci siamo confusi … pensavamo che lì, nei social, si potesse stare meglio. Invece è sempre una questione di persone non di strumenti … e quindi? Gli scenari possibili?”
Continuare a puntare sui social network con obiettivi molto ben definiti e profilando al massimo il proprio target di riferimento orientandosi alle nicchie oppure abbandonare tutto e cercare alternative dove sia ancora possibile partecipare alla conversazione attraverso piattaforme più verticali, proponendosi come innovatori e coltivando un pubblico “diverso” da quello mainstream. Le aziende prima di tutto devono imparare dai loro errori, far tesoro di quello che è successo sui social, studiare la loro audience, capire dove si trova e che cosa vuole, parlare con loro utilizzando canali e risorse di nicchia.
I social network non sono obbligatori, così come i grandi numeri e l’esposizione mediatica non sono né un sintomo né una garanzia di un business che funziona.
Tra gli scenari futuristici, secondo me, c’è poi la necessità dei social network di orientarsi più all’economia della reputazione (come per gli articoli accademici). Ma questo è possibile solo se si integra la ricerca coi social, con le reti personali. Quale potrebbe essere il valore di una ricerca fatta per una sedia se i miei amici dicono che sono “uno” attento all’ambiente e i primi risultati mi danno sedie eco-compatibili?
Anche sui social network il problema della visibilità delle notizie dovrebbe seguire la falsa riga del web e non replicare modelli giornalistici di un mondo che ormai non appartiene più alla rete. Sono un enorme contenitore d’informazioni che se non organizzato con almeno “un elenco del telefono” sarà dura capire come trovarle e come farle emergere…
E quindi si ricomincia da capo. Come sempre. Si ricomincia considerando il social non tanto come il punto di arrivo ma come uno strumento. Come avrebbe dovuto essere sin dal principio. Uno strumento connesso ai processi interni ed esterni dell’azienda, orientato a nuovi modelli, più efficaci, più efficienti in grado di mettere non tanto il consumatore ma le persone al centro di tutti i processi. Offrendo un’esperienza – possibilmente fisica – integrata che punti a visioni più ampie, che abbiano al centro non la preoccupazione della scelta della piattaforma più adatta ma agli obiettivi. I Social Media funzionano se legati a precisi obiettivi di business, misurabili e concreti. In questo approccio, metriche come il numero di follower, il numero di condivisioni, il numero di commenti e il coinvolgimento degli utenti sono inutili se non collegate a quello che ci sta dietro: risoluzione di problemi, miglioramento del processo di innovazione, aumento dell’efficacia organizzativa e via dicendo. E poi tornare a creare ambienti dedicati al Social CRM, all’innovazione, alla co-creazione, progettando soprattutto esperienze. Le persone devono ritornare al centro (anche se servirà molto budget).
Prima del Customer Engagement c’è l’Engagement, prima dell’Engagement vengono i Consumatori, prima ancora dei Consumatori ci sono – poi – le Persone. Stefano Besana
È per questo che a mio modo di vedere Internet ha vinto!
Il web è ancora un posto dove è possibile emergere dalla coda lunga – chissà, forse una coda …lenta, a volte fisica – dove si può ancora discutere e scambiarsi conoscenza (come in questo blog). Dove ci si può anche solo divertire a scrivere senza essere assillati dall’auditel/audiweb/audimianonnaincarriola…
Finale: Dice il saggio…
L’uomo con la valigetta prende dalla tasca del soprabito un pezzetto di carta e scrive il proprio numero di telefono; lo porge all’uomo con il cappotto: “Mi ha chiarito le idee parlare con lei, mi chiami”.
L’altro lo prende e sorrise. ”Anche a me ha fatto piacere, ma mi deve lasciare con un finale degno di tutto questo…”
“Mi viene in mente un incipit famoso che ho sempre in mente …”
Noi che ricerchiamo la conoscenza, ci siamo sconosciuti, noi stessi ignoti a noi stessi, e la cosa ha le sue buone ragioni. Noi non ci siamo mai cercati, e come avremmo mai potuto, un bel giorno, “trovarci”?
Si è detto e a ragione: «Dove è il vostro tesoro, è anche il vostro cuore», il “nostro” tesoro si trova dove sono gli alveari della nostra conoscenza. E per questo siamo sempre in movimento, come veri e propri animali alati e raccoglitori di miele dello spirito, preoccupati in realtà solo e unicamente di una cosa, di «portare a casa» qualcosa.
Di fronte alla vita, poi, e a quello che concerne le cosiddette «esperienze», chi di noi mai ha anche solo la serietà necessaria? O il tempo necessario? Di queste cose, temo, non ci siamo mai veramente «occupati», infatti il nostro cuore è altrove, e anche le nostre orecchie!
Simili piuttosto a chi, divinamente distratto e immerso in se stesso ha appena avuto le orecchie percosse dal suono della campana che con tutta la sua forza ha annunziato il mezzogiorno con dodici rintocchi, e si sveglia all’improvviso e si chiede «che suono è mai questo?», così noi, di quando in quando, “dopo”, ci stropicciamo le orecchie tutti sorpresi e imbarazzati e chiediamo «che cosa mai abbiamo realmente vissuto:» o ancora «chi “siamo” noi in realtà?» e contiamo solo “dopo”, come si è detto, tutti e dodici i frementi rintocchi della nostra esperienza, della nostra vita, del nostro “essere” – ahimè – e sbagliamo a contare…
Infatti necessariamente rimaniamo estranei a noi stessi, non ci capiamo, “dobbiamo” scambiarci per altri, per noi vale per l’eternità, la frase «ognuno è per se stesso la cosa più lontana», noi non ci riconosciamo come gente che «ricerca la conoscenza»
(Friedrich Wilhelm Nietzsche)
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